Arturo Parisi (2011)

da La Nuova Sardegna del 28 gennaio 2011




Parisi: «Ecco come fare primarie vere»

L’epoca di Prodi e del primo Vendola, le attuali indecisioni, le troppe idee di Pd



di Filippo Peretti



CAGLIARI. Domenica a Cagliari primarie del centrosinistra per la scelta del candidato sindaco. In gara cinque candidati: Antonello Cabras (Pd), Massimo Zedda (Sel), Giuseppe Andreozzi (Rossomori), Tiziana Frongia (Verdi) e l’indipendente Filippo Petrucci. E’ una fase delicata per le primarie per via dei troppi casi discussi im varie parti d’Italia. E delle primarie parliamo con oò deputato Arturo Parisi, l’inventore dell’Ulivo, che dice: «Servono primarie regolari ma soprattutto vere».


— Professor Parisi, le primarie devono restare lo strumento obbligatorio per la scelta dei candidati?

«Senza dubbio continuare con queste primarie”eventuali”, rinviando le decisione se farle o non farle, è puro autolesionismo».

— Se ne può fare un bilancio?

«Anche se non sembra, l’avventura delle primarie dura ormai nel nostro Paese da almeno sette anni. La previsione e la regolamentazione di quelle che sarebbero state le prime primarie nazionali che investirono Prodi, consentì infatti in Puglia nel gennaio 2005 lo svolgimento delle prime primarie per la scelta di un candidato a presidente di Regione».

— Quella fu considerata un’ottima esperienza.

«Personalmente la considero esemplare». — Poi cosa è successo?

«Il numero di primarie è andato moltiplicandosi. Ma non sempre dietro lo stesso nome stava e sta la stessa cosa. Troppe le varianti da caso a caso».

— Quali casi preferisce?

«Quello che conta è se il risultato sia veramente incerto. Solo queste sono primarie vere. In tutti gli altri casi sono più o meno finte. Il gruppo dirigente, per dar forza alla sua scelta, la fa approvare da un corpo più ampio di cittadini. Chiamiamole pure primarie confermative».

— Ma molti le considerano una complicazione.

«Chi ha una idea paciosa della società e della democrazia, che si possa convivere senza dover scegliere, accettare seppure nel confronto di dividersi, competere, è meglio che eviti sia le elezioni primarie che quelle secondarie».

— Nel senso che la democrazia è necessariamente fatica?

«E allargare la democrazia significa aumentare la fatica. Ma ne vale la pena. Se le primarie non sono finalizzate a un chiaro progetto politico condiviso, possono apparire inutili».

— Invece?

«Sono un mezzo per riaprire ogni volta il cerchio della politica che tende sempre a richiudersi, facilitando ma allo stesso tempo incanalando le nuove proposte, persone e idee che emergono nella società».

— Spesso ci sono denunce di irregolarità.

«Sono egualmente insoddisfacenti sia primarie vere anche se irregolari, sia primarie regolari ma non vere».

— Cosa fare per renderle sempre vere e regolari?

«Renderle obbligatorie, e, soprattutto, farle diventare un tratto ordinario della vita della democrazia. Ma farle svolgere ad un tempo sufficientemente distante dalle secondarie. Hanno per loro natura bisogno di essere dimenticate».

— Per far assorbire gli scontri interni?

«Infatti. Se la competizione primaria è stata vera, non può non aver lasciato strappi, tensioni e ferite che chiedono tempo per essere attenuate. Solo dei competitori finti posso trasformarsi in poche settimane da contendenti in alleati. Il rinvio nel tempo della decisione di svolgere o non svolgere queste primarie”«eventuali”, le priva oltretutto della possibilità che siano occasione di un vero confronto programmatico tra idee diverse di città».

— Sono trasformare in semplici conte?

«E hanno scarso significato. Così perdono quella che negli anni dell’Ulivo fu pensata come la loro principale funzione: la costruzione della unità della coalizione».

— Cosa è rimasto dell’idea originaria del Pd?

«La verità è che di idee originarie del Pd non c’è n’è una sola. La mia era quella di un partito nuovo capace di aprirsi a tutti gli apporti presenti nel centrosinistra, che, riiniziando da capo, consentisse a tutti i democratici di mescolarsi e unirsi nella nuova casa che costruivano assieme, per dare un governo al Paese in competizione col centro destra».

— Si diceva: non un nuovo partito ma un partito nuovo.

«Solo un partito che ha dimostrato di essere un partito nuovo può pensare di unire da solo la maggioranza degli italiani. In caso contrario o si affida ad alleanze mutevoli, o finisce col chiedere che gli sia risconosciuta la sua porzione, o peggio si allea con altri solo per il tanto del ripristino della proporzionale».

— Vede in pericolo il sistema maggioritario?

«Fortunatamente, anche se non casualmente, la tenuta a livello locale dell’impianto maggioritario grazie all’investitura diretta dei vertici di governo ha salvato gran parte del lavoro fatto negli anni 90».

— Se fosse residente a Cagliari per chi voterebbe? E perché?

«Non ho conoscenza del confronto sul futuro della città che mi auguro in queste ore al centro del dibattito, ma non conosco la maggior parte dei candidati. Sentirei tuttavia di mancare ad un dovere verso i cagliaritani se non dessi testimonianza alla qualità umana e alla sicura competenza di Antonello Cabras che ho sperimentato in Parlamento e al governo. Ha tutti i titoli per fare il sindaco di una grande città come Cagliari. Mi dispiacerebbe invece se dovesse vincere le primarie senza un vero confronto e un’autentica competizione».