Nino Giagu (raccontato da Arturo Parisi)


 SASSARI. Arturo Parisi rende omaggio a Nino Giagu. Un lungo raccoglimento nella camera mortuaria, poi l’affettuoso incontro con i familiari del senatore. Forse non te lo aspetti, ma il ministro è commosso e non fa nulla per nasconderlo. Anzi. «Nel momento in cui ci diciamo arrivederci, o addio, dipende dai punti di vista, la memoria - spiega - torna ai tempi della mia fanciullezza». Parisi ha voglia di parlare. Il suo è come uno sfogo.



 «I nostri rapporti erano antichissimi, quasi persi nella memoria. Ho abitato per ventun anni, tutta la mia vita formativa dalla nascita alla laurea, nella stessa casa in cui abitava la famiglia Giagu. Una casetta di viale Dante. E’ un ricordo antico. Dagli Anni Quaranta all’inizio degli Anni Sessanta, prima del mio trasferimento in una casa vicina, seguito poco dopo dalla mia partenza per il Continente, dove, come è noto, ho sviluppato tutto il mio percorso da adulto.
 «Nel ricordare quei tempi mi viene naturale ricordare me che osservo i giovani più grandi che si chiamavano Angelo, Nino e Mario Giagu. Mario era il più giovane di loro, morì troppo precocemente in un incidente stradale nel 1960, quando era già impegnato in politica, anche lui nella Democrazia cristiana, in consiglio comunale. E ricordo altri giovani, tra cui Francesco Cossiga ma non solo lui, che si davano appuntamento nella loro casa.
 «Ricordo le letture, i giornali, le riviste, che circolavano numerose, la base della mia formazione. Angelo era tra i collaboratori più qualificati della Nuova Sardegna, si occupava della pagina di cultura, era già impiegato nel Banco, del quale sarebbe diventato il direttore generale. Nino era giornalista del Corriere dell’isola. Era uno stimolo vederli circolare, discutere appassionatamente, leggere. Erano lettori curiosi.
 «Così rivedo mia mamma che mi passava i loro quotidiani, che erano, all’epoca, merce preziosa. Ero così piccolo, li leggevo tra due pile, piegati a metà. Riscopro il contributo che ha dato alla mia formazione quella condivisione. Forse senza la consapevolezza di Nino. I giornali li passavano a mia madre e mia madre a me.
 «Anche la loro presenza era stimolo a guardarmi intorno per vedere le cose di cui loro si interessavano. Erano gli anni del cambiamento, loro erano fortemente impegnati. Come nella stagione dei giovani turchi, che fu il loro contributo innovativo per l’affermazione del ruolo dei partiti politici che segnò la fine dell’epoca dei notabili.
 «Poi io partii, la mia formazione vera fu con il mio maestro, Antonio Pigliaru, che era loro coetaneo.
 «Questi sono momenti in cui si tirano le somme. Pur senza dimenticare che le valutazioni dell’ultimo periodo ci videro su posizioni diverse, lui impegnato sino alla fine nella Dc, io no, non ne presi mai parte. Quando iniziai a occuparmi di politica col movimento per la riforma istituzionale, fui promotore di iniziative che non incontravano il suo immediato consenso. Ma questa è storia recente.
 «Sino alla fine Nino Giagu ha rappresentato e con un pizzico di testardaggine la linea con cui aveva esordito con il partito nel 1945. Era espressione di un mondo di cui si sentiva rappresentante, svolgeva la funzione di ponte tra il mondo della Sardegna dell’interno con la Sardegna urbana. Io ho svolto tutto il mio impegno nel contesto urbano, consapevole delle zone interne. Lui in qualche modo era portatore di interessi della Sardegna dell’interno, consapevole della città. Si collocava, cioé, nella dialettica città-campagna, ma con una fedeltà alle domande che la gente gli affidava che era portato a darle direttamente soddisfazione.
 «Sapeva però rappresentare quelle domande anche in un contesto superiore per via delle sue qualità politiche e culturali. Nino nasce come intellettuale, con letture di ampio respiro, abbonato alla rivista di Dossetti. Sono state basi decisive anche per la fase in cui è stato poi quasi del tutto assorbito dalle pressioni della vita politica.
 «E’ un giorno di dolore, di memoria privata. Mi è impossibile ricordare quel tempo senza ricordare il volto della madre di Nino, la mia prima maestra di sociologia. Una donna totalmente dedita all’educazione dei figli. Raccontava e spiegava la società di Sassari e della Sardegna. Io ascoltavo quelle sue conversazioni con mia madre.
 «Sì, Nino Giagu ha segnato un’epoca. Con lui se ne va una parte della città e della Sardegna, e anche una parte della vita di ciascuno di noi».
Filippo Peretti