«E' equilibrato, capace e dialogante».
- E' quello che si aspettava dopo la sconfitta?
«Il segnale è chiaro: va rifatto il partito».
- Come rifarlo?
«Bisogna uscire dallo schema delle correnti».
- Su quali linee?
«Il partito del capitalismo solidale, moderato e popolare di ispirazione cattolica».
- Funzionerà il rinnovamento?
«La gente ci chiede partecipazione, innovazione, modernità».
- Modernità?
«Certo, come sull'ecologia e il paesaggio».
- Come spiega la sconfitta in Sardegna?
«Abbiamo pagato il trend nazionale, ma non solo».
- Cos'altro?
«Non abbiamo saputo leggere la società e i suoi bisogni».
- Iniziamo dal partito nell'isola. Quali colpe?
«Difficoltà a fare i cambi interni».
- Lei ha sempre parlato di partito sardo.
«Sì, federato con Roma. Autonomia moderna per inserirci nel mondo globalizzato».
- Vuole separarsi da Roma, ma siete accusati di sudditanza.
«Non siamo stati sudditi».
- Invece giunta e Pdl sono sotto accusa.
«Roma non ci ha mai ordinato niente. Il problema è che per noi il governo ha fatto poco».
- Un ministro sardo?
«Sarebbe utile».
- I dirigenti vanno eletti o nominati?
«Eletti. Un partito deve saper dibattere e scegliere».
- Dica la verità: il Pdl non le piace.
«Non mi piace il nome: non ha fascino».
- E oltre il nome?
«Il Pdl non è mai nato, siamo ancora alle quote».
- Aveva ragione Fini?
«No, ha sbagliato ad andarsene. Guardi i suoi voti».
- Il Pdl finirà col Capo?
«Dobbiamo evitarlo con le idee, che sopravvivono ai leader».
- Vede un fuggi fuggi?
«Il rischio c'è».
- Colpe di Cappellacci?
«L'azione va rilanciata».
- Pensa a una crisi in Consiglio regionale?
«No. I consiglieri non hanno voglia di dimettersi».
- Teme il disimpegno degli alleati?
«Se fossi Cappellacci sarei preoccupato».