Dario Franceschini (2009)

da La Nuova Sardegna
24 maggio 2009

"POPULISMO, DEMOCRAZIA A RISCHIO"
"CAPPELLACCI DISASTROSO,
SARDEGNA COLONIA DI BERLUSCONI"


di Filippo Peretti

CAGLIARI. Il caso Mills e l’attacco ai giudici, il caso Noemi e l’attacco ai giornali, il caso riforme e l’attacco al Parlamento. Dario Franchini sbotta: «La democrazia è a rischio». Il segretario del Pd sarà domani in Sardegna (Monti, Desulo, Tonara, Sorgono e nel pomeriggio a Cagliari) per la campagna elettorale delle europee del 6 e 7 giugno, a sostegno di Francesca Barracciu e Bruno Dettori.

— Dario Franceschini, le elezioni europee sono decisive per il destino del Partito democratico?
«Le elezioni sono decisive per la stessa democrazia italiana, non c’è in gioco solo l’assetto dell’europarlamento».

— Preoccupato per l’offensiva berlusconiana?
«Berlusconi vorrebbe stravincere, imporre il suo modello populista di un uomo solo al comando. Qui in Sardegna alle regionali ha fatto le prove generali, è una deriva peronista».

— Come contrastarlo?
«E’ chiaro che il dato prevalente di questo appuntamento si misurerà dal rapporto di forze tra il più grande partito di maggioranza e il più grande partito d’opposizione».

— E in gioco anche la leadership Franceschini?
«Il tema della leadership lo affronteremo al congresso, a ottobre».

— Quanto peseranno queste elezioni?
«Ci stiamo impegnando con energia e senso di responsabilità nella campagna elettorale per arrivare al congresso con un partito vivo, forte e radicato».

— In Sardegna si è votato a febbraio. Si aspettava la sconfitta?
«Era una delle due possibilità, il pareggio non è contemplato».

— Come giudica i quattro anni e mezzo di Soru?
«E’ stato un buon presidente e ha rappresentato un importante motore di innovazione per la politica sarda».

— Cosa l’ha convinta di più?
«Ha espresso un’idea moderna di autonomismo, con un forte impegno sui temi dell’ambiente, dell’identità e della conoscenza».

— Deve restare in politica?
«Credo possa fare ancora molto per la sua terra e per il Pd».

— La giunta di Ugo Cappellacci sta per compiere i primi cento giorni. Il giudizio?
«Disastroso».

— Già così drastico?
«Questo primo periodo è sufficiente a tutti i sardi, al di là delle idee politiche, per comprendere l’inconsistenza di Cappellacci e la sua totale dipendenza da Berlusconi. Il G8, la strada Sassari-Olbia, le bonifiche ambientali, la drammatica crisi industriale, il problema dei trasporti, l’ipotesi centrali nucleari. Il Cavaliere ha promesso mari e monti ma non ha nessuna attenzione per la Sardegna, che viene trattata come una colonia».

— La Sardegna ha grandi difficoltà ad eleggere propri parlamentari europei per via del vantaggio numeroci dei siciliani. Non sarebbe giusto un collegio separato?
«E’ una richiesta sacrosanta, i sardi hanno il diritto di essere presenti a Strasburgo».

— E allora?
«Il Pd in Senato ha fatto la battaglia, ma è stata bloccata dai numeri del centrodestra. E’ una delle tante promesse disattese del governo. Comunque, i nostri candidati Francesca Barracciu e Bruno Dettori hanno consenso, radicamento e sono assolutamente competitivi».

— Il governo Berlusconi ha trasferito il G8 da La Maddalena a L’Aquila. Il Pd sardo ha protestato. Lei cosa ne pensa?
«Conosco bene la realtà maddalenina. Prodi scelse La Maddalena perché bisognava accompagnare una delicata riconversione economica dopo l’addio della base Usa, e questo impegno va portato avanti».

— C’è il rischio che quell’obiettivo non venga raggiunto?
«Il tema di oggi non è tanto la protesta quanto piuttosto di esigere il completamento delle opere previste, quelle iniziate e quelle programmate».

— Il governo ha confermato gli impegni.
«Ma servono garanzie su tempi e risorse, e sul mantenimento del summit dell’ambiente. Su tutto ciò il Partito democratico sta incalzando il governo».

— Caso Mills. Berlusconi deve andare in tribunale o in Parlamento?
«E’ singolare che il presidente del Consiglio, che non viene mai in Parlamento per discutere dei problemi di tutti gli italiani, voglia venire ora per parlarci dei suoi guai giudiziari. Noi pensiamo che debba andare in tribunale e rinunciare al privilegio del Lodo Alfano, per farsi processare come qualunque normale cittadino italiano».

— Su questa vicenda la destra vi accusa di esservi nuovamente appiattiti sulle posizioni giustizialiste di Di Pietro. E’ così?
«Non facciamo giustizialismo e non siamo appiattiti proprio su nessuno. Intendiamo battere politicamente Berlusconi, non dobbiamo essere noi a stabilire se è colpevole o innocente».

— Ma si finisce comunque per parlare dei processi.
«Ma se il premier si fa una legge ad hoc per sottrarsi ai processi, è nostro dovere non tacere».

— Sicurezza e immigrazione. Non è davvero ipotizzabile un patto tra maggioranza e opposizione nell’interesse dei cittadini?
«Non c’è nessun nesso diretto tra sicurezza e immigrazione. La sicurezza dei cittadini non è né di destra né di sinistra ma purtroppo la maggioranza proprio su questo tema mostra il suo volto più demagogico».

— Erano promesse elettorali.
«Ma la maggioranza le ha tradite. Sta qui il fallimento del governo: nell’ultimo anno hanno tagliato 3,5 miliardi al comparto sicurezza».

— Loro negano.
«A dirlo sono i sindacati delle forze dell’ordine che da mesi protestano. Non hanno i soldi per mettere il carburante nelle volanti, per riparare le vetture rotte e per pagare gli straordinari al personale. E’ questo il modo per proteggere i cittadini?».

— E sull’immigrazione?
«Noi diciamo mano dura con chi delinque, integrazione e diritti per le tantissime persone per bene che vengono in Italia per lavorare».

— E lo scontro sulle norme internazionali in tema di respingimenti ed espulsioni?
«Il nostro non è buonismo, rimandare indietro un barcone senza aver verificato se vi sono persone che hanno il diritto d’asilo, perché magari perseguitate nel paese d’origine, è contro i diritti dell’uomo ed è perfino contro la Bossi-Fini, che non è certo una legge modello».

— Le sue parole sulla camicie nere, a proposito delle ronde, hanno provocato qualche dissenso nel centrosinistra. Le ripeterebbe?
«Certo, io esprimevo una preoccupazione: quando si deroga al principio che assegna all’autorità dello Stato l’esercizio della sicurezza, può accadere di tutto. La decisione del governo, imposta dalla Lega, è la spia di una drammatica regressione culturale e valoriale, un modo per evocare la giustizia “fai da te”».

— Quali rischi vede?
«Quello di legittimare azioni incontrollabili di squadracce di esaltati, e di rendere il Paese meno sicuro».

— Ma perché il richiamo alle camicie nere?
«Ricordiamoci che anche se spesso il termine camice nere viene utilizzato per indicare genericamente i fascisti, si trattava degli aderenti alla milizia volontaria per la sicurezza nazionale».

— A proposito. Si ha l’impressione che lei, per accreditarsi presso gli ex Pci, sia portato ad abbandonare la sua tradizionale linea moderata. E’ così?
«Macché, non cerco di accreditarmi con nessuno, dico solo quello che penso».

— E la sua deriva a sinistra?
«E’ una leggenda metropolitana. I giornali hanno iniziato a scriverne quando ho giurato sulla Costituzione nella mia città, Ferrara, e poi è diventato un cliché».

— Cosa c’entra la Costituzione?
«E’ un segno dei tempi che viviamo: a parlare di antifascismo e resistenza, di attenzione agli ultimi e ai più deboli, di rispetto delle leggi, di laicità dello Stato, di valori diversi dal consumismo e dall’egoismo sociale si viene tacciati di essere dei pericolosi rivoluzionari».

— Le parole di Fini hanno riaperto la discussione, mai risolta, sul rapporto tra fede e politica. Lei è in una posizione strategica e anche poco comoda. Il problema è risolvibile o, come dice Enrico Letta, c’è il rischio che l’Italia finisca per dividersi come la Spagna?
«Dobbiamo evitare di arrivare al bipolarismo etico. La grande evoluzione medica e scientifica di questi anni pone inediti dilemmi morali. Questioni delicate e complesse, che riguardano la vita e la morte, la persona e la tecnica, e interrogano ciascuno di noi, laici e cattolici. Temi che ci costringono a riflettere, indipendentemente dall’orientamento politico e culturale e dal credo religioso».

— Ma come risolverli?
«Vorrei che su argomenti così importanti non ci si lasciasse trascinare dagli opposti estremisti, dai fanatici dell’integralismo come del laicismo. Serve ascolto e attenzione reciproca, serve il dialogo e lo sforzo di comprendere le ragioni altrui. E soprattutto serve coerenza tra ciò che si dice e ciò che si vive».

— Sulla crisi economica è polemica quotidiana tra ottimisti e pessimisti. Lei da che parte si schiera?
«Berlusconi ha detto che la crisi è alle spalle e adesso va meglio di prima. Venga a dirlo in Sardegna. Venga a dirlo ai lavoratori della Chimica che rischiano di vedere compromesso il loro futuro. E potrei parlare di tanti altri casi che i sardi conoscono bene. La crisi non è - purtroppo - un fatto psicologico e l’Italia è il paese che ha investito di meno per sostenere le famiglie e rilanciare l’economia».

— Berlusconi vi accusa invece di predicare il tanto peggio tanto meglio.
«Noi non ci siamo limitati alla critica, abbiamo avanzato proposte concrete».

— Ad esempio?
«L’assegno di disoccupazione».

— Compatibile con il bilancio dello Stato?
«Assolutamente sì, avevamo indicato la copertura finanziaria. Ma oltre che possibile è anche necessario per fare fronte ad una vera e propria emergenza sociale. Per aiutare migliaia di precari che rischiano di ritrovarsi improvvisamente a zero euro».

— Il governo l’ha giudicata una proposta sbagliata.
«Non è stato solo un no al Pd, ma a tutti coloro che la crisi la stanno pagando, ogni giorno, sulla propria pelle anche nel vostro territorio».

— Alla fine, lei è ottimista o pessimista?
«Mi lasci dire nella terra di Gramsci che noi abbiamo il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà».