Enrico Letta (2009)

da La Nuova Sardegna 14 aprile 2009

"PER TORNARE A VINCERE,
UNIRE PROGRESSISTI E MODERATI
CONTRO I POPULISTI"


di Filippo Peretti

CAGLIARI. Enrico Letta, il sottosegretario di Romano Prodi che si contrappose a Walter Veltroni nelle primarie del Pd, scende di nuovo in campo ma stavolta con un saggio. E lo fa ripartendo dall’insegnamento del suo vero maestro, Nino Andreatta. Il titolo del libro («Costruire una cattedrale») è una frase del politico ed economista che riusciva a governare il presente progettando il futuro. «Andreatta - ricorda Letta - fu richiamato al governo nel 1992, in un momento di crisi che è paragonabile a quello attuale, e il suo apporto fu determinante. Oggi manca una come lui, uno che abbia non solo le intuizioni ma anche il coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo». La cattedrale, come scrive Letta nelle prime pagine che riportiamo qui sotto, serve per indicare le imprese che attendono oggi la politica, l’economia e la finanza: bisogna andare oltre il «presentismo». Nel suo saggio, il deputato del Pd si sofferma anche sulla crisi del centrosinistra per avvertire che bisogna andare oltre il bipolarismo e unire, con i contenuti, i progressisti ai moderati. Altrimenti questi ultimi continueranno a essere attirati dal populismo berlusconiano e leghista. Dure critiche, per la caduta del governo Prodi, anche ai populisti della sinistra radicale.

— Enrico Letta, per mandare in stampa il libro Costruire una cattedrale ha voluto attendere le elezioni regionali sarde. Perché?
«Erano importanti per capire come affrontare il problema del centrosinistra e in particolare del Pd».

— Che indicazione ha tratto dalla sconfitta?
«Sapevamo che se avessimo perso anche in Sardegna voleva dire che la crisi andava affrontata alla radice, nella logica, appunto, della cattedrale».

— Perché?
«Il voto sardo ha confermato che c’è un problema strutturale del centrosinistra. In Sardegna il gap della coalizione è stato impressionante. Se siamo stati competitivi sino alla fine è grazie a un valore aggiunto come Soru».

— Perché Soru ha perso contro Cappellacci?
«Proprio per il vento nazionale. Soru ha già fatto tanto, con una bella campagna elettorale, a mettere paura a un centrodestra che sta dominando».

— Spiega tutto con l’attuale supremazia politica di Berlusconi?
«Era già successo con Illy e in Abruzzo».

— Lei, da sottosegretario di Prodi, con Soru ha seguito diverse partite politiche della Sardegna. Deluso dagli elettori?
«Certo abbiamo lasciato nell’isola cose importanti. Penso al G8, che resterà nella storia perché forse sarà l’ultimo. Mi auguro che il centrodestra, ora che la campagna elettorale è finita, non getti via tutto. Anzi, vorrei fare un appello».

— Prego.
«Ho avuto la fortuna di seguire il Dossier Sardegna e chiedo al governatore Cappellacci di considerare con grande attenzione alcune nostre realizzazioni».

— Può citarle?
«Quella a cui sono più legato è l’intesa sulle nuove entrate finanziarie della Regione: per la Sardegna vuol dire tanto, anticipa il federalismo fiscale. Le altre Regioni speciali la invidiano».

— Il centrodestra ha duramente contestato quell’accordo ed è prevedibile che lo voglia cambiare.
«Sarebbe un grave errore».

— Ma dicono che è più importante il loro accordo sull’insularità.
«Potrà dare risultati tra dieci anni».

— Invece l’intesa sulle entrate?
«E’ già operativa. Cappellacci faccia bene i conti e vedrà che è suo interesse avere due miliardi in più nel bilancio. Non dia retta al governo nazionale, le forbici di Tremonti non aspettano altro».

— Nel vostro accordo sul G8 c’era anche la strada statale Sassari-Olbia. Quei fondi, però, sono spariti. Se lo aspettava?
«E’ uno scippo post-elettorale. E penso anche agli annunci nel Sulcis fatti a sindaci e sindacati. Tutto sparito. La gente si sente presa in giro».

— Per la Sassari-Olbia dicono che i fondi sono andati nel pacchetto anticrisi.
«Non è così. Perché contro la crisi devono essere privilegiate le infrastrutture immediatamente cantierabili, come la Sassari-Olbia, e non il ponte di Sicilia».

— Torniamo al suo libro. Cosa significa oggi costruire una cattedrale?
«Pensare al futuro, non misurare le decisioni in due settimane. Vuol dire fare la riforma del welfare per rafforzare le prospettive del Paese, vuol dire dare un assetto alla finanza internazionale, eccetera».

— Lei denuncia il “presentismo”.
«E’ l’eccesso di attenzione al presente, al messaggio più che alla realizzazione. E’ la politica degli annunci, è la finanza che poi crolla».

— In politica, senza gli annunci, si rischia di perdere.
«E’ il difetto del sistema italiano che rende la nostra politica più debole».

— Colpa dell’opinione pubblica?
«In Italia è più attenta alla narrazione che alle cose concrete. L’avvento di Berlusconi è stato pesante. Ma ci sono anche altri responsabili».

— Chi sono?
«Ad esempio i giornalisti: guardano solo all’oggi».

— Il centrosinistra ha sbagliato a inseguire Berlusconi sulla stessa strada?
«Combattere Berlusconi con le sue armi è impossibile, si perde prima di iniziare. Da una parte ha grandi capacità di comunicatore, dall’altra una forza mediatica senza pari».

— Berlusconi, che lei mette tra i populisti, non sta certo costruendo una cattedrale. Però dura. Questo non smentisce il suo ragionamento?
«No, perché Berlusconi ha anche perso: Prodi lo ha battuto due volte. E nel 2006 Berlusconi ha perso dopo cinque anni di governo».

— Praticamente quello fu un pareggio.
«Berlusconi recuperò alla fine giocando sul futuro come sa fare lui, con nuove promesse, con una campagna elettorale straordinaria».

— Anche qui, deluso dagli elettori?
«In Italia c’è poca memoria, ma è stata anche colpa nostra».

— Campagna elettorale sbagliata.
«Di sbagliato, come poi si è visto, era l’alternativa che avevamo messo in campo».

— La coalizione non omogenea?
«Esatto».

— Il centrosinistra rischia di essere una minoranza strutturale?
«Credo che lo sia già. A rischio è la stessa sopravvivenza. Mentre il Pd non è nato per stare in una nicchia di minoranza».

— E’ già finito il progetto del Pd?
«Il progetto era di andare oltre le appartenenze originarie di Ds e Margherita. Oggi siamo molto al di sotto e siamo addirittura pronti a dirci soddisfatti se riusciamo a restare a questo livello».

— Era un progetto sbagliato?
«No, ma abbiamo commesso troppi errori».

— Quali?
«Innanzitutto l’eccesso di fretta. Volevamo fare una cattedrale ma non ci siamo preoccupati della roccia su cui poggiarla, cioé i contenuti. E poi le primarie».

— Ma contro Veltroni ha partecipato anche lei.
«Ma non erano primarie, praticamente era una candidatura unica dei Ds».

— Il progetto del Pd è stato ostacolato anche dalle elezioni anticipate dopo la crisi del governo Prodi?
«Tutto per quell’eccesso di accelerazione impressa nel 2007».

— Che fare ora?
«Dobbiamo partire dai contenuti per unire i moderati e i progressisti».

— Un esempio?
«Tenere in questo campo Casini, ma andare ancher oltre. Essere convincenti, entrare dentro l’elettorato del centro».

— Lei scrive che il bipolarismo è ormai superato dal tripolarismo.
«Le elezioni del 2008 ci consegnano questa situazione: la maggioranza degli italiani è moderata, ma cresce l’elettorato populista, che non è più marginale, e c’è un terzo di elettorato progressista».

— Risultato?
«La forza di Berlusconi è di far convivere i populisti e i moderati. Noi ci siamo accontentati di mettere insieme i progressisti. Ma non si vince e non si governa con il 30 per cento».

— Tra i populisti mette anche la sinistra radicale?
«La difficoltà con la sinistra radicale è la chiave del fallimento dell’azione del governo Prodi. Penso sempre a quel referendum contro il protocollo sul welfare: la sinistra radicale ha perso il referendum ma era nel governo».

— Uno delle questioni del Centrosinistra non risolte è il rapporto laici cattolici.
«Il mio grande timore è che i radicalismi da una parte e gli integralismi dall’altra portino l’Italia verso una deriva spagnola».

— Gli schieramenti contrapposti?
«E sì. In Spagna i cattolici stanno con la destra, a sinistra ci sono i radicali».

— Non è una posizione più chiara?
«No, è pericoloso per la Chiesa e il mondo cattolico. Che non può essere catalogato come conservatore, qui ha una tradizione positiva di creatività attraverso l’associazionismo, che è un patrimonio di energia vitale per la società, a prescindere dagli schieramenti».

— Ma ci sono le condizioni per la convivenza di laici e cattolici nello stesso schieramento?
«Ci devono essere le condizioni, questo è uno dei grandi temi che abbiamo davanti».

— Come giudica Franceschini?
«Molto bravo in occasione del terremoto. C’è bisogno di silenzio e di coesione nazionale. Si è distinto da un Di Pietro insopportabile».

— Franceschini è andato alla manifestazione della Cgil, lei no. Perché?
«E’ la cosa che mi ha convinto di meno, il partito deve svolgere un ruolo diverso dal sindacato, ma capisco».

— Contrario alla manifestazione?
«No, la crisi morde, guardiamo i sequestri dei manager in molti Paesi, non mi sento di condannare un sindacato che manifesta, serve anche per incanalare la protesta, altrimenti il disagio sociale monta».