Mario Floris

da La Nuova Sardegna
9 febbraio 2009

"Il rinnovamento?
Per molti è una moda
io lo costruisco"


di Filippo Peretti

CAGLIARI. Mario Floris ha debuttato in Consiglio nel 1974 e ci è tornato per altre cinque volte: se eletto batterà il record assoluto di legislature regionali. Con la Dc è stato tre volte assessore, presidente della giunta e dell’assemblea. Con l’Udr, fondata assieme a Cossiga, è tornato alla presidenza della giunta (1999). Fondatore e leader dell’Uds, assieme a Raffaele Farigu (Nuovo Psi) ha formato l’alleanza Sardegna unita e sostiene Ugo Cappellacci alla presidenza.

— Mario Floris, lei è stato eletto sei volte e questa è la sua settima legislatura. E il rinnovamento?
«Io lo favorisco, le nostre liste sono in maggioranza di giovani e di donne».

— Basta candidare i giovani per parlare di rinnovamento?
«No, ma io lo accompagno, aiuto i giovani a crescere anche con un grande movimento giovanile guidato dall’avvocato Alessandra Boldetti».

— Ancora in prima linea a 72 anni. Quando lei è entrato in Consiglio la prima volta, nel 1974, era la stagione d’oro di Pietro Soddu, oggi nel Pd è candidato il figlio.
«In politica l’età non conta se hai ancora la voglia di capire le novità».

— Altri partiti hanno deciso di cambiare molto più radicalmente.
«Sì, ma più che altro è moda del giovanilismo, che sinora ha prodotto poche idee. La politica è una cosa seria. I partiti pensino a formare i giovani sui problemi concreti».

— Nella vecchia Dc il rinnovamento era favorito?
«Certo non era ostacolato. E ce n’era molto più di oggi. Senza costanti apporti di innovazione, Dc e Pci non avrebbero potuto fare le riforme che hanno fatto».

— Oggi qual è la difficoltà?
«Convincere le persone a occuparsi seriamente di politica».

— Qual è il problema?
«La demolizione dei partiti, è stato un errore».

— Lei è contrario a un rinnovamento imposto dagli automatismi?
«Sì, perché politica deve saper selezionare i migliori».

— Lei ha avuto diverse opinioni sul presidenzialismo.
«All’inizio ero perplesso, immaginavo un pericolo».

— Quale?
«C’era troppa voglia di fare gli americani ma nessuno pensava all’equilibrio tra i poteri come in America».

— Poi si è convertito.
«Ho pensato che avere un capo riconosciuto potesse dare alla Sardegna una maggiore forza contrattuale con lo Stato e l’Unione europea».

— Nel 2004 si è presentato come candidato presidente, all’inizio della legislatura si è detto disponibile a collaborare con Soru, poi è passato decisamente all’opposizione.
«Proprio per l’idea del condottiero dell’intera isola, pensavo che Soru, una volta eletto, volesse essere il presidente di tutti».

— E invece?
«La contrapposizione è diventata odio».

— Di chi la responsabilità?
«Soru ha rifiutato qualsiasi dialogo, qualsiasi proposta, qualsiasi forma di collaborazione».

— Lei non ritiene di avere colpe?
«In questo caso no. Anzi, pensavo che Soru potesse essere una novità utile perché, venendo dall’esterno, in grado di eliminare vecchi vizi della politica, abusi, sprechi. Ho provato a dialogare, ma è stato inutile».

— Lei ha polemizzato per le dimissioni. Perché?
«Un presidente che ha consapevolezza del ruolo non si può dimettere senza aver fatto la Finanziaria e senza motivazioni serie».

— Le ha giustificate con i contrasti sull’urbanistica.
«Ma lo sanno tutti che quei contrasti non c’erano, che il territorio è ampiamente tutelato: i primi vincoli risalgono agli anni Settanta e sono sempre stati approvati all’unanimità. Soru piuttosto dovrebbe spiegare chi è il cementificatore».

— A cosa si riferisce?
«Alle 120 intese per oltre un milione di metri cubi e alle altre 80 pronte per essere approvate dalla giunta».

— Come spiega allora le dimissioni?
«Da tempo stava cercando una scusa buona per mandare tutti a casa».

— Perché?
«Calcolo personale. Tanto è vero che si è ripresentato, mentre nel 2004 aveva parlato di un solo mandato, e con gli stessi partiti di prima».

— Perché stavolta si presenta nel Centrodestra?
«Ho visto che sta maturando una coscienza identitaria: il mio progetto nazionalitario si sta radicando anche nei partiti nazionali. Mi ha convinto il riconoscimento dell’insularità, che è riconscimento dell’idemntità sarda».

— Qual è il punto che le piace di più del programma del Centrodestra?
«L’aver messo il problema del lavoro al centro di tutta l’azione politica».

— Come mai l’accordo di lista col Nuovo Psi?
«E’ nato nel rapporto consiliare con Raffaele Farigu, soprattutto sui temi ambientali».

— Qual è il suo giudizio su Cappellacci?
«E’ una persona seria, giovane che non è una promessa ma già una realtà perché è stato assessore regionale e comunale e segretario del più grande partito sardo. Sarà un ottimo presidente».

— Cosa glielo fa pensare?
«E’ uomo di squadra, ha la cultura dell’ascolto, governerà non solo insieme agli alleati ma insieme ai sardi».

— Troppi passaggi non provocano ritardi?
«No, Cappellacci sa ascoltare e sa decidere. lo agli alleati e ai sardi. ed è decisionista.

— C’è chi dice che a decidere sarà Berlusconi?
«Ho fatto il presidente della giunta con Berlusconi a Palazzo Chigi. L’ho incontrato spesso, con lui ho firmato il primo accordo sulla continuità territoriale. Bene, non mi ha mai chiesto nulla».

— Pensa che le ripetute visite di Berlusconi danneggino Cappellacci?
«No. Per Soru stanno arrivando tutti, da Veltroni a Fassino e Bersani e ora D’Alema, e Di Pietro è qui un giorno sì e un giorno no. Il dato sardo ha valenza nazionale».